LA
FORZA DEI CAMPI
Intervista senza rete di Jole Chessa Olivares ad Anna Manna per la pubblicazione
del libro
“Umili parole e grandi sogni - Cinque poesie per tre pontefici”
- Nemapress
(Il
libro-mignon sarà donato in omaggio alla Manifestazione
"I Poeti del Giubileo della Misericordia" il 19 novembre alla Chiesa
degli Artisti a Roma)
Non
sono un’abitudine le interviste nel mio percorso artistico, anzi forse
questa è la prima. Ma è nata da un lungo colloquio telefonico
tra me e la poetessa Anna Manna in un momento storico particolarissimo: l’annuncio
delle dimissioni di Benedetto XVI. Abbiamo cominciato con quella telefonata,
densa, spontanea, confusa e indimenticabile. Quando ci siamo scoperte a vicenda
ed a vicenda ci siamo comprese oltre ogni stereotipo.
Dopo la pubblicazione del suo libro mignon dedicato ai tre pontefici, Anna
mi ha cercata, ha voluto riprendere quel discorso, ampliarlo.
Così è nata l’intervista e lei dice che soltanto con me
poteva avere questo scambio, questo incontro, questo dialogo a margine del
suo piccolissimo ed importante libro.
Jole
Chessa Olivares)
Come sono nate queste poesie così particolari: le poesie per i tre
Pontefici! Sono il frutto di una ispirazione immediata ed attuale oppure sono
nate negli anni ed ora hai deciso di pubblicarle?
Anna Manna) Non avrei mai potuto scrivere nello stesso periodo queste
cinque poesie, sono molto diverse, fotografano stati d’animo talmente
diversi… e talmente diverso è lo stile che poterebbero idealmente
rappresentare una mia evoluzione poetica.
ASono poesie nate negli anni, così sporadicamente come confusamente
nel mio cuore si affacciava l’emozione, l’istanza poetica.
Mai avrei immaginato di pubblicare un libro, anche se mignon, con le poesie
per tre pontefici.
Sono veramente il frutto di una mia totale sincerità poetica.
Le scrivevo per me, le consideravo poesie da tenere nel cassetto per ricordare
stagioni importanti della mia anima. Non erano destinate ad un lettore, forse
per questo non ho adoperato nessuna astuzia, nessun artificio seduttivo, soltanto
quello che sentivo, che affiorava dentro di me durante eventi importanti per
la sfera religiosa della mia anima.
Ora
una domanda forse troppo intima, se non te la senti non rispondere. Il silenzio
mi dirà già molte cose. Sono poesie nate da una fede certa?
Sei credente?
Ho ricevuto una educazione fortemente cattolica: sono stata a scuola dalle
suore, nelle prime classi, a Matera, e comunque mio padre, essendo uno scrittore
cattolico, ha impostato tutta la sua educazione culturale ed umana su basi
religiose e cattoliche.
Poi negli anni ho frequentato ambienti che si ponevano come forze di contestazione.
Sono stata matricola a Lettere negli anni bollenti del ’68… anche
se non ho partecipato in prima persona a quegli eventi – rifuggo da
un’immersione nella corrente, qualunque essa sia – comunque ho
bevuto idee e messaggi della contestazione.
Nel mio primo libro di poesie, pubblicato da Kappa nel lontano 1996, il critico
Vittoriano Espositoscrisse, nella bellissima introduzione di cui mi ha onorato,
che la mia poesia poteva rappresentare il percorso di una intera generazione,
testimonianza viva del cammino di un’anima a contatto con tutte le problematiche
e le inquietudini di quegli anni. Il libro s’intitolava “La madonnella
al porto”, è dedicato alla Madonnella del porto di Gaeta, mia
città natale. C’è già nel titolo la metafora di
una divinità che scende tra gli umani, la madonnella che scende nel
mondo difficile dei naviganti, appunto al porto. Così nasce e si sviluppa
la mia fede, al capezzale dei miei cari quando sono stati malati, nei momenti
difficili da superare, a contatto con il dolore e le asprezze della vita.
Ha l’odore delle pecore come ha detto magistralmente Papa Francesco.
Penso che questo Papa, che lo Spirito Santo ci ha donato, sia il vero innovatore
del linguaggio e della comunicazione dell’era moderna. Se non fosse
riduttivo, si dovrebbe proporre di dare il Nobel della letteratura al Papa,
grandissimo poeta nel linguaggio vivo, eterno e quotidiano nello stesso tempo,
spirituale e carnale nello stesso istante della sintesi sublime. Una magnifica
rivoluzione del linguaggio!!!
Per tornare al ricordo della mia giovinezza, comunque c’era in me un
forte spirito critico e ribelle ad una accettazione supina e passiva di qualsiasi
dottrina. Una fede dunque che non è nata dall’abitudine. A poco
a poco ho scoperto che fuori di me esisteva dell’altro. che il mondo
non poteva esaurirsi in me e nella mia visuale. Questo l’ho sempre pensato,
poi col passare degli anni ed affrontando le prove che la vita mi ha riservato,
ho scoperto, nonostante me, una vocazione sacra nelle mie attitudini. Cioè
tutto aveva un valore, niente era per divertimento o egoismo.
Così anche scrivere aveva una sua sacralità. Poi la vita mia
ha travolta nei suoi impegni più pressanti ed ho dimenticato la poesia
e forse anche le inquietudini religiose. Anche se ho seguito in fondo ogni
prassi: sposata in chiesa, battesimo al mio bambino, fiducia nel matrimonio
ecc. La dedizione alla famiglia è un fatto tutto mio o deriva dalla
educazione di donna meridionale ? Non direi la prima ipotesi, sono io che
sono appassionata in tutto quello che faccio e dunque anche nella famiglia
ho messo cuore e passione.
La fede? E’ una cosa seria che scopri quando sei vicina alla tua morte
o alla morte dei tuoi cari.
Quando è morto mio padre, quando io sono stata in pericolo (sono caduta
in malo modo nella doccia ed ho rischiato di spezzarmi la schiena) allora
ho intuito, scoperto, intravisto una presenza al di fuori di me, forte, solida,
resistente.
Ho intuito una vita oltre questa. Ho sentito con una profondità incredibile
l’altrove.
Una fede dunque nonostante gli studi fatti negli anni delle rivolte, nonostante
l’educazione ricevuta nelle certezze.
Ho una fede che mi tiene compagnia nelle mie fibre più vere.
E’ una certezza direi…anche se può sembrare strana questa
affermazione. Ma sento che non finiamo con la dimensione terrena, sento in
me forze e fusioni, intuizioni e proiezioni, che vanno oltre il quotidiano.
Sono credente perché non posso negare quello che sento in modo imperioso
dentro di me. La forza di un amore che supera le barriere dell’umano
sentire. Un rispetto per l’esistenza che somiglia ad una sacralità
senza paramenti sacri e gerarchie ma forse più forte di queste cose.
Queste
poesie come le proponi al pubblico come un invito alla preghiera? Come un
invito alla poesia religiosa? Oppure sono una confessione quasi a te stessa?
Sicuramente sono una confessione a me stessa. Le ho scritte per me. Sono venute
così come le propongo, non sono né orgogliosa, né timida,
né restia a mostrarle, né pronta a vantarmene.
Sono come un canto dentro il cuore, domande, tristezze reali. Tentennamenti
ed in certezze, il famoso dialogo con noi stessi, il famoso mondo interiore
di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Se tutto questo può giovare
anche agli altri io volentieri dono agli altri questa mia esperienza come
preghiera, come cammino poetico che si inchina al fatto religioso, senza riuscire
a spiegarlo, senza riuscire a comprenderlo.
Sono poesie religiose ma molto umane, somigliano appunto alle domande ed alle
speranze di un cuore semplice, forse anche un pochino infantile. Un cuore
giovane, senza riserve, un palpito sincero, un passo all’improvviso
diverso dai passi quotidiani.
Che
posto occupa la fase religiosa nella tua vita?
Oggi occupa un posto importantissimo: diciamo che la fede, questa mia stramba
fede, mi prende per mano ogni giorno e guida i miei passi.
Ed io mi fido di lei, a lei mi abbandono. E’ più forte del ragionamento,
più forte della letteratura, che sono ben poca cosa rispetto a questa
forza che non saprei definire. Che mi è madre e padre, sorella ed amica,
guida e maestra.
E’ un incontro solido, senza tentennamenti.
Mi sento come un soldato d’amore dalla vittoria continua come scriveva
Quasimodo.”L’uomo non muore / è un soldato d’amore
dalla vittoria continua”.
L’uomo non dovrebbe mai morire dentro. Oggi ci sono troppi cadaveri
in giro e non mi riferisco soltanto ai poveri morti che ci fanno rabbrividire
nelle nostre coscienze di occidentali davanti al naufragio di tante vite a
Lampedusa. Ci sono cadaveri che fanno ancora più paura: i cadaveri
dell’indifferenza, dell’egoismo, della sopraffazione.
Non hanno un cimitero dove trovare pace.Vagano come bombe innescate nel mondo
della crudeltà
Qual
è il concetto che ti ha più colpita nel linguaggio religioso,
nel bagaglio anche culturale che la religione ti propone?
Non è facile rispondere a questa domanda capace di mettere a fuoco
l’anima dell’intervistato!
Ma credo che già accettare un’intervista da una poetessa così
profonda e penetrante come Iole Chessa Olivares sia prova della disponibilità
a farsi mettere a nudo. La mia scelta indicherà certamente di quale
trama è la bandiera, di quale tessuto è il sudario, quale aspetto
della fede e della storia della religione mi richiamano a maggiore attenzione.
Per questo sarò sincera e ti racconterò veramente quale mistero
mi affascina, quale frase mi accompagna ogni giorno e quale aspetto della
fede mi consegna alla sfera religiosa. Certamente sono più attratta
dal mistero pasquale piuttosto che dal Natale.anche perché il Natale
è spesso offuscato dal peso delle rose! Cioè l’aspetto
mondano dei regali, della festa ha offuscato il senso più profondo.
E comunque è la Pasqua che veramente rende importante e sacro tutto
il resto. Dunque la primavera pasquale, l’avvento di una stagione risorta,
il rinnovarsi del mondo alla luce della rivelazione mi sostengono nel cammino.
E di questo fermento primaverile del mondo c’è una scena che
mi è rimasta nel cuore sin da quando ero ragazza. La Maddalena si reca
al Sepolcro e vede Cristo risorto. E’ la prima che lo vede. Non capisce
neppure cosa sia avvenuto. Lo vede e l’occhio della donna crede subito
in un evento positivo. Non immagina che sia un miraggio o una visione.Vuole
toccarlo e si avvicina per toccare la persona, la realtà. Ma allora
dal labro del Risorto viene formulata la frase più bella che sia stata
detta in tutti i tempi del mondo: “Noli me tangere”.
Spesso questa frase è stata tradotta “Non mi toccare!”
come una distanza posta tra il divino e l’umano, come un addio deciso
ed un ordine preciso che ponga la differenza tra chi ancora è in terra
e chi ormai non appartiene più alla terra. Ho approfondito questo aspetto
e sono rimasta totalmente affascinata da altri più ampi significati:
noli me tangere, non toccare me, nel senso di non trattenermi nell’umano,
non tentarmi con il ricordo dell’umano, non impedire con il laccio dei
ricordi umani la mia missione che ormai non è più di questa
terra. E’ una frase di una dolcezza infinita, una risposta di una gentilezza
sublime, una comprensione del dolore di chi è rimasto, un sostegno
a chi rimane dopo il distacco, dopo la tragedia e nello stesso tempo un riconoscere
l’infinita bellezza dell’esistenza capace addirittura di trattenere,
anche se per un attimo, il cammino verso il ritorno ai cieli. Io sono incantata
da questo dialogo estremo, in un momento estremo. Una sintesi repentina, immediata
eppure di una melodia e di un rigore insieme che mi lasciano tramortita. Ammiro
tutti i quadri che la dipingono, come tutti gli studi che sono nati attorno
a questo attimo estremo sono per me fonte di ammirazione e stupore. Questa
linea di confine tra la realtà e l’altrove, tra l’umano
ed il divino, tra il miraggio e la realtà, tra la visione e la veggenza,
ebbene tutto questo mi ricorda proprio la POESIA.
Dentro di me ho sempre pensato che la poesia abita questo momento estremo.
Tanto è vero che mi è cara la frase: “Forse la poesia
è l’eternità che si è innamorata della vita ed
è rimasta imbrigliata nei giorni!”.
E la poesia può attardarsi, non deve ascendere i cieli come il Figlio
di Dio, può avere rimpianti e tentennamenti, può perdere tempo
a cullarsi negli avvolgenti ricordi della vita. Questa pausa, questo ritardo,
questo tempo rubato, dilatato, questa vita rinnovata, ha qualcosa di divino
anche se, inevitabilmente, ne perde il rigore . Perché la Poesia, il
momento poetico, sembra dire “Eccomi trattienimi pure, appartengo a
questo mondo”.
La poesia è un abbraccio concesso, un’attardarsi sul ciglio dell’eterno,
un sospiro, una piuma, una rivelazione che nulla dice del regno dei cieli
ma li presuppone. E’ il momento del riconoscimento, dell’abbandono
totale, della gioia per il ritrovarsi e la tristezza infinita di un nuovo
addio. Appartiene al regno dell’immutabile anche se ad ogni verso la
Poesia si rinnova, muta e prende nuova vita.
Pensi
che la religione sia un bagaglio di certezze o uno sprone al dialogo con il
dubbio?
Sicuramente il dialogo è la forma più sicura di certezza perché
appunto chiarisce. La religione è un lungo cammino, un velo che cade
dagli occhi, un’aprirsi alla dolcezza ed alla comprensione. Non può
essere, non serve che sia, un insieme di dogmi, una compilazione di precetti.
La religione non è un bagaglio è quella forza che ti solleva
il bagaglio dalle spalle e lo fa diventare zappa per aprire la terra alla
fecondazione del futuro.
Quando
hai scritto la prima poesia per Giovanni Paolo II pensavi di aprire un filone
nella tua poetica?
No assolutamente no, odio le etichette e quindi quando scrivo non metto mai
l’etichetta sopra.
Scrivo, poi dopo mi rendo conto di cosa ho scritto e quale potrà essere
il posto di quella mia testimonianza.
A
parte queste poesie dichiaratamente rivolte ad una dimensione religiosa c’è
nella tua poesia una dimensione religiosa o sono due aspetti di te (la poesia
sacra e profana) completamente separati, quasi in contrasto?
Nessun contrasto. Tutta la mia poesia ha qualcosa di sacro. Ma nel senso ampio
del termine. Il grande poeta Elio Fiore lo scrisse nell’introduzione
al mio libro di poesie d’amore “Le rosse pergamene” edito
da Pagine nel 2001.
Dunque anche nell’amore profano c’è una tensione all’eternità
dell’evento. Non che io creda scioccamente nelle storielle del cuore
ed una stanza, dell’amore eterno ecc. Ma la tensione c’è,
che è cosa diversa dall’illusione o dalla speranza. E’
una forza sotterranea che solleva le emozioni più profane verso una
dimensione più alta. Una freccia sempre tesa all’infinito. Anche
il desiderio può essere sublimato e diventare fuoco sacro ed eterno.
Anche il vissuto, può diventare scrigno di ricordi ed emozioni per
sempre. Chi mi dice che conosce la noia, chi mi descrive sentimenti e storie
che si disintegrano praticamente mi descrive lo scarso impegno che mette nel
vivere le sue storie. La noia non è nella situazione è in noi.
Nella nostra incapacità di guardare più a fondo. Poi certamente
bisogna fare i conti con le cose della vita, con le circostanze ecc. Ma, almeno,
sentire la tensione verso il valore di ciò che dura è importante.
L’avventura più interessante diventa tradizione, ciò che
si rinnova vuol dire che riesce sempre ad attrarci. Insomma la novità
per la novità e basta conta poco. Il contatto intelligente è
un contatto di anime prima che di corpi, di affetti prima che di piacere e
basta. Con queste premesse tutto può acquistare un alone di sacralità:
non è forse sacro il vino nel calice, e acqua e farina nell’ostia
non diventano forse altro, ecco la sacralità è la capacità
di trovare anche nelle cose più semplici quel sapore sacro, quel sublime
che nasce a volte dall’infinitamente piccolo.
Scrivere
queste poesie ti ha coinvolta in tutti gli aspetti della tua personalità
oppure sono poesie concettuali, che non ti hanno trafitto nell’emozione?
Sono soltanto emozione, certamente sorretti dai concetti ricevuti in anni
di eduzione, di inquietudini, di ribellioni, di scontri, di cadute.
Sono l’emozione che risorge dalla ceneri di una fede infantile e si
scalda in una dimensione adulta della fede.
Quanto
abbiamo bisogno della fede oggi? E tu quanto ne trai sostegno?
Marianna Bucchich ha scritto per le mie poesie: “La poesia di Anna Manna
è un pensiero d’eternità che contiene tutte le illusioni
della vita.”
Mi piace molto questa definizione. E’ in questa linea di confine tra
il profano ed il sacro, tra l’istante e l’eterno, tra la carne
e lo spirito che nascono le mie emozioni. Una vertigine poetica come ha scritto
Carmelo Aliberti.
Uno sbandamento che cerca nell’oscillazione l’equilibrio, nel
superamento dello sbandamento la comunicazione, il messaggio, il contatto.
Del resto la poetica del naufragio che mi caratterizza ha insito in sè
stessa il momento del crollo ed il momento del recupero, il momento del disastro
ed il momento della ricostruzione. Esiste un momento che precede il naufragio,
il dramma nell’attimo del dramma ed il dopo, il momento di quello che
resta. A volte la lusinga, le lusinghe della vita affondano, ma resta sempre
un appiglio, qualcosa che ci aiuta a riprendere la navigazione.
Guardiamo i campi, la forza dei campi : la natura continua a fiorire dopo
i terremoti. A L’Aquila, a primavera, sulle rovine sono comparsi fiorellini
apparentemente fragili, teneri, ma sono fortissimi.
E’ la risposta della vita alla morte. E’ il dopo che avanza e
riprende quota. Questa forza naturale ma atavica dei campi, questa loro voglia
di rifiorire non ha contrasti, non porta distinzioni. E’ sacra e profana
insieme. E’ terra e spirito. Ecco la poesia per me è questo:
questa incredibile forza dei campi che si esprime anche attraverso il tremolare
di un piccolissimo stelo. Abbiamo bisogno di un pensiero di eternità
tutti noi, oggi soprattutto. Per ritrovare la forza della vita, imitare la
natura, trovare il coraggio di fiorire di nuovo
da
associazioneitalianadellibro.it - La
forza dei campi: Jole Chessa Olivares intervista Anna Manna